Ormai tutti traducono tutto online in un baleno, dalla corrispondenza commerciale alle dichiarazioni d’amore. Inoltre è diventato del tutto normale rendere leggibili nella propria lingua siti web e articoli in lingua straniera con un semplice click. Molti insegnanti riferiscono addirittura che la traduzione viene usata anche per migliorare i testi in lingua madre, ovvero gli alunni (ri)traducono i loro testi prima in inglese e poi di nuovo nella propria lingua usando applicazioni come DeepL, perché questa operazione permette di correggere gli errori di punteggiatura e migliorare la scelta delle parole.
Esistono servizi che traducono istantaneamente non solo testi, ma anche video e audio, e che, se opportunamente programmati, sono in grado di generare video “originali” nei quali chiunque parla fluentemente qualsiasi lingua. Non è difficile in futuro immaginare di avere a disposizione apparecchi di traduzione universale istantanea come quelli che siamo abituati a vedere nei film di fantascienza, dal classico Star Trek al recente The Creator.
In breve da ascoltare
Come le reti neurali hanno rivoluzionato la traduzione
L’idea di base dei traduttori automatici di vecchia generazione, basati sulla statistica, e di quelli nuovi basati su sistemi di Intelligenza Artificiale è in realtà simile. Entrambi, infatti, utilizzano una grande quantità di coppie di frasi già tradotte, provenienti da siti web e documenti aperti, ed entrambi utilizzano la statistica per suggerire la traduzione migliore per una frase o un’espressione. Il modello statistico però divide le frasi in gruppi di parole composti da due o tre componenti, trova la traduzione più probabile per questi e rimette tutto insieme. Questo non accade più con i sistemi di reti neurali: esse includono nel calcolo delle probabilità l’intera frase o anche l’intero paragrafo che precede la parola cercata. La traduzione più plausibile viene quindi calcolata in base a molti più fattori. Di conseguenza, le reti neurali suggeriscono sempre più spesso traduzioni migliori.
La traduzione automatica è così valida che la maggior parte delle agenzie di traduzione la utilizza per velocizzare il proprio lavoro, e l’abbiamo usata anche noi nel progetto digibasics!
Per addestrare una rete neurale le si presentano delle frasi e le loro traduzioni. Seguendo il principio dei tentativi e degli errori, il modello regola le sue impostazioni. Viene premiato se la traduzione che produce è adeguata e ricorda gli errori se è sbagliata. In questo modo, il modello impara a tradurre anche nuove frasi che non sono mai apparse nei dati forniti nelle fasi di addestramento. La traduzione automatica è così valida che la maggior parte delle agenzie di traduzione la utilizza per velocizzare il proprio lavoro, e l’abbiamo usata anche noi nel progetto DigiBasics! Oggi è tuttavia ancora necessario che un essere umano controlli ciò che l’algoritmo ha prodotto, ad esempio per adattare il linguaggio tecnico e correggere i riferimenti errati.
Dove la macchina fallisce ancora
Le reti neurali non sono ancora del tutto affidabili, soprattutto per i documenti lunghi. Questo perché, pur avendo “sott’occhio” una parte del contesto delle parole, non sono in grado di considerare l’intero testo. Un’altra difficoltà consiste nel riconoscere e replicare il tono o il registro di un testo, anche perché le lingue sono tra loro molto diverse. Ad esempio, l’inglese fa meno differenze tra espressioni formali e informali rispetto al tedesco o all’italiano, mentre il giapponese ne fa di più.
Quindi se si traduce dall’inglese in italiano il sistema fatica a comprendere se “you” sta ad indicare un plurale con un “voi” o un “tu”; lo stesso accade per le forme del “lei” al femminile in terza persona o del “lei” forma di cortesia.
Il giapponese rende il tutto più complesso, specie per le macchine. Ad esempio, le sei persone di un verbo, in questo caso vedere, si scrivono in giapponese tutte e sei in egual modo, dato che non hanno il pronome, ma per ognuna di esse esiste ed è indicata a sinistra la forma normale, ovvero quella che si usa in un contesto famigliare o amicale e a destra la forma che si usa un contesto formale di lavoro o con sconosciuti (figura 1).
Quindi senza contesto è impossibile capire di chi parliamo se scriviamo miru o mimasu, ma capiamo invece la relazione che abbiamo con tali persone che però è difficile esprimere in un’altra lingua. E infatti in questo caso i traduttori ne capiscono ancora poco, specie della relazione (Figura 2).
Un altro tema sono i cosiddetti “stereotipi” o “pregiudizi”. Le reti neurali imparano da un corpus di testi, e questi testi possono contenere rappresentazioni fuorvianti o incomplete della realtà. Lo si vede molto bene provando a tradurre nomi di professioni dall’inglese (che non specifica il genere) all’italiano (nel quale è obbligatorio). In questo caso DeepL sembra assecondare ancora tutti i possibili stereotipi di genere (Figura 3), anche se il software è in costante miglioramento.
AI e traduzione a scuola
Il lavoro di Alloatti & Montemarano, Machinelle Übersetzungstools im Fremdsprachenunterricht, presenta alcuni esempi di attività scolastiche basate sulla traduzione automatica o su sistemi di IA. In fondo usano la strategia degli antichi samurai, “usa la forza del tuo nemico per vincere”: l’ipotesi di lavoro è che far tradurre con sistemi automatici consapevolmente porti a notevoli apprendimenti in molti casi.
Attività 1 L’umorismo: una cosa seria (B1-B2)
In questo esempio gli allievi si confrontano con le traduzioni di battute o frasi umoristiche e devono valutare se i risultati fanno ancora ridere nella lingua di arrivo (Figura 4).
Nel primo caso (in alto a sinistra) Lavazza è una famosissima marca di caffè, ma il nome richiama il verbo lavarsi (il suffisso -zza indica indirettamente un lavarsi sgraziato e rude) e l’immagine evoca la scena di un chicco che si lava sotto la doccia, magari con una bella spazzola.
Mettiamo la battuta in DeepL (Figura 5):
Se chiediamo a DeepL di tradurre questa battuta, vediamo che mettendo Lavazza in maiuscolo il sistema lo riconosce, ma il risultato è incomprensibile in paesi in cui il marchio di caffè non è conosciuto e in ogni caso in lingua straniera non si capisce probabilmente l’assonanza tra Lavazza e il verbo lavarsi; se invece scriviamo lavazza in minuscolo, il sistema traduce correttamente il doppio senso del lavarsi, ma si perde l’umorismo della battuta.
Gli allievi di scuola secondaria devono dunque analizzare le frasi e ipotizzare o immaginare se il traduttore può tradurre la battuta e dove e come può sbagliare. In alcuni casi è evidente che il traduttore non può farlo, ma in altri casi la riflessione si fa complessa e tutto ciò rende questa attività davvero interessante per capire cosa sia una traduzione ben fatta.
Attività 2 Occhio, insegnante! (B1-C1)
In questo secondo esempio l’insegnante fa lavorare di proposito una classe con traduttori automatici in modalità sfida: il docente sarà in grado di riconoscere i testi tradotti dall’IA e quelli tradotti dagli studenti? Se sì, in base a quali segnali o criteri?
Un ulteriore compito interessante potrebbe essere far scrivere agli allievi un testo, farlo tradurre nelle loro lingue seconde con un traduttore automatico e far identificare agli allievi e allieve in cosa e dove il risultato non corrisponde al loro stile. Ad esempio si potrebbero rendere conto che il lessico è diverso, la sintassi è maggiormente articolata, che il sistema sbaglia alcune preposizioni, oppure che il traduttore genera errori che loro possono risolvere velocemente e con agio.
Ma allora serve imparare una lingua?
Se i traduttori automatici oggi presentano dei limiti, possiamo facilmente immaginare che in pochi anni miglioreranno ancora e che la maggior parte dei compiti di traduzione quotidiana (etichette, notizie, previsioni del tempo, informazioni turistiche, lettere commerciali, ecc.) saranno svolti da macchine. Come motiviamo gli studenti a impegnarsi nelle lingue seconde? E serve ancora allora imparare una lingua straniera, o sarà una competenza obsoleta e riservata ai linguisti?
La diffusione dei traduttori automatici impongono di riscoprire questa dimensione culturale e identitaria dell’apprendimento delle lingue seconde.
Sono domande che non possiamo evitare, e che ci riportano alla radice non del come insegnare, ma del perché insegnare. Imparare una lingua vuol dire anche conoscere un’altra cultura “dal di dentro”, imparare a vedere il mondo con altri occhi, considerare sé stessi in una nuova luce.
La diffusione dei traduttori automatici che suppliscono a tante performance linguistiche prima riservate agli esseri umani impongono di riscoprire questa dimensione culturale e identitaria dell’apprendimento delle lingue seconde.
Autori: Miriano Romualdi (SUPSI) e Luca Botturi (SUPSI)
Approfondimento
- «Maschinelle Übersetzungstools im Fremdsprachenunterricht» – Un progetto del Fondo per l’innovazione MBA ZH – sviluppato presso MNG Rämibühl.
- NZZ-Artikel «Warum KI-Übersetzer so gut funktionieren» v. 29.01.2022
- Come funzionano i traduttori automatici
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